Alberto Pusimano, bergamasco in Ecuador, una storia di vita
– Com è stato il passaggio tra l’America Latina e l’Ecuador, quindi?
Nel 84 sono tornato in Ecuador in pianta stabile: c’erano giá i miei fratelli che si erano stabiliti dopo aver percorso tutta la costa pacifica. Durante gli anni 80 molti paesi stavano affrontando il problema della guerra civile: in Salvador, in Guatemala, in Nicaragua, in Peru, per non parlare della complessa situazione della Colombia e della dittatura di Pinochet in Chile. Gli unici paesi dove si poteva vivere, erano il Costa Rica e Panamá, ma erano paesi (relativamente) cari. Quando sono arrivati in Ecuador hanno incontrato un paradiso: un’isola di pace, che sopraviveva in mezzo ad una serie di paesi che stavano affrontando enormi difficoltá. Per cui hanno scelto l’Ecuador e, a 19 anni, io gli ho raggiunti. Tutto é iniziato nella spiaggia di Same, provincia di Esemeraldas, un luogo incontaminato dove abbiamo aperto un ristorante tutti assieme, fino a quando il fratello maggiore é tornato in Italia. Dopo due anni, fino al 86 sono andato in Brasile, fino al 91. li avevo un ristorante-pizzeria, ma erano gli anni dell’inflazione: 8% al giorno. Era invivibile; quando il congelamento di C/c ha reso la vita impossibile, son tornato in Ecuador, e ho aperto una piantagione di banane, commercio redditizio di quell’epoca chiamavano “Oro Verde”. L’Ecuador é tuttora il primo esportatore di banane. – Durante i primi anni trascorsi in Ecuador, eri connesso a qualche italiano all’estero?
In questo periodo avevate relazioni con gli italiani?
No, vivevo a Santo Domingo de los Satchilas (Colorados), dove di italiani non ce n’erano. La maggior parte degli italiani si concentra tuttora tra Guayaquil e a Quito; ce né uno qui e uno la: Atacames, Esmeraldas, Manta.
Eravate cosi in difficoltá che non avete pensato di ricorrere all’associazionismo degli italiani all’estero?
No, a dire il vero no: ce la siamo sempre cavati da soli.
Da buoni italiani!?
Esatto. Purtroppo é fallita la bananera, abbiamo person tutto e a quel punto non resta che rimboccarsi le maniche. Ho trascorso due anni in Colombia, a Cali, ma li era impossibile per via della guerra civile che durante gli anni 90 viveva l’epoca di Pablo Escobar. É stato li che ho avuto la crisi del migrante e ho cominciato a chiedermi: “Cosa faccio qui? Meglio che torni in Italia; che bella l’Italia”. Son tornato e mi han trattato a pesci in faccia. Io non sono specilizzato, e tra la cooperative e la fabbrica, non c’era altra possibilitá di lavoro. Quando resti 15 anni fuori, é difficile rinserirsi nel mercato del lavoro in Italia.
Dalla Colombia, all’italia. E poi?
Dalla Colombia, a due anni in Italia e poi sono ritornato in Ecuador, un giorno d’autunno, quando ho capito che un altro inverno a Bergamo non lo volevo affrontare. Mia moglie, che é la madre dei miei due figli, é di Ibarra e assieme ci dedichiamo all’importazione di alimenti dall’Italia, come due “buoni italiani”: la pasta, l’olio di oliva, la grappa (….), il pomodori pelati, il Parmiggiano, le acciughe…
Hai provato nostalgia per l’Italia e se si, cosa ti é mancato?
Mah, i primi anni mi é mancata l’alimentazione; del resto qui non c’era niente. Ora invece è possibile trovare di tutto; magari è un po’ caro, ma trovi tutto. Mia figlia in questo momento á in Italia; frequenta qui a Quito una scuola italiana, ed é in gita scolastica in Italia.
Che scuola italiana frequenta e che anno?
La Luigi Galvani; é al settimo di basica, che corrisponderebbe ad una prima media da noi.
Hai scelto fin da subito per lei l’istruzione italiana?
Scegliendo per l’istruzione di tua figlia, una scuola italiana, sei entrato in contatto con altri iataliani?
I due italiani della scuola, li conosci? Che relazione hai con loro?
Sai che ho insegnato alla empleada che lavora in casa mia, a preparare i crostini…

